Ensi: “Usare il rap per non dire niente è come sparare nell’acqua”. L’intervista per l’uscita di “V”

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Abbiamo intervistato Ensi, poche ore prima dall’uscita del suo nuovo album “V” di cui vi abbiamo raccontato qui. Oggi, facendo quattro chiacchiere con lui abbiamo capito meglio cosa si nasconde dietro a quello sguardo da duro, addolcito però dalla nascita di suo figlio, e soprattutto abbiamo anche capito cosa vuol dire fare rap per lui. Ecco l’intervista integrale.

D: Da dove è nata l’idea di parlare di te e della tua vita privata in questo nuovo disco?

Chi conosce la mia discografia sa che io racconto cose di me da sempre. È la grande capacità della musica rap che ti regala questa possibilità ed è anche ciò che mi ha spinto all’inizio a cantare e a scrivere…una sorta di auto-terapia per tirare fuori un po’ di malessere ed esorcizzarlo. Del resto la musica nasce con l’idea di voler raccontare delle cose e, dopo tutto il mio percorso e la mia vita fino a qui, ho riscoperto questa forza nella musica. Non è stata una cosa da nulla: nella vita succedono tante cose, spesso l’energia che si sprigiona dalle esperienze si trasforma in altro e ci si dimentica il “perchè” di base. Io sono tornato lì, a quel “perchè”, proprio in quanto all’interno ci sono tutti quegli aspetti personali che ho voluto tramutare in canzoni. Del resto, le canzoni si fanno per questo no? In ogni caso, sia chiaro io cerco nella musica una chiave di lettura per fare canzoni che raccontino di me, è ovvio, ma nelle quali anche gli altri si possano riconoscere.

D: Nella canzone con Clementino parli del tuo passato da freestyler ci racconti un aneddoto o un episodio che ti ha segnato particolarmente di quel periodo?

Ti posso raccontare di quando ho vinto il 2TheBeat nel 2005, praticamente il campionato italiano di freestyle. Eravamo a Cave di Curti, vicino a Lecce per la finale del 2TheBeat appunto e appena arrivato mi sono accorto subito che stava cambiando qualcosa: ho firmato autografi per la prima volta praticamente, ero diventato qualcosa di nuovo. Alle 3 del mattino poi ho vinto e volevo condividere questa emozione, così ho chiamato mia mamma. Figurati, chiamandola nel cuore della notte mia madre che è ipocondriaca mi ha risposto preoccupata dicendo: “Cosa è successo”. Le ho detto “Mamma ho vinto”, mi ha chiesto che cosa avessi vinto, le ho spiegato e lei che era ancora un po’ addormentata mi ha chiesto: “Ma hai vinto con le mani?” e io ero talmente felice che non ho nemmeno provato a spiegarle cosa intendesse vincere quella competizione e le ho risposto: “Sì, con le mani” e ho buttato giù il telefono, beh è un bell’aneddoto no? (Ride n.d.r.)

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D: C’è una canzone cui sei particolarmente legato nel nuovo disco e perchè?

Come saprai fare questa domanda è come chiedere a un padre la canzone che ama di più. Ti rispondo come ho sempre detto a tutti quindi, il pezzo preferito è Mamma Diceva. Tutti hanno quella frase o quell’aneddoto che la mamma ripeteva in continuazione, la mia mi diceva “Fai del bene e dimentica, fai del male e ricorda” e questa frase è diventata il ritornello della mia canzone. Non parlo direttamente di lei, ma in questa canzone c’è un equilibrio particolare tra contenuto, forma e musica. Posso dire che probabilmente è la migliore che io abbia mai fatto, c’è un sound moderno, ma che ben si mescola con il mio stile di scrittura e la mia interpretazione, il testo è fortissimo.

D: Che funzione ha il rap per te visto che oggi sembra il linguaggio più utilizzato per affrontare temi sociali? E della trap?

Intanto vorrei fare una precisazione perchè quando si parla di trap bisogna ricordarsi che è nata in America alla fine degli anni ’70, ma non è un sottogenere del rap, non la identifichi così, identifichi un sound magari. Io credo che il rap abbia una potenza unica che è nei testi, se manca il contenuto non c’è nulla. La differenza quindi sta proprio qui. Ooggi poi l’hip hop è ovvio, ha perso un po’ di fascino e forza rivoluzionaria nel comunicare un messaggio universale. Lo sai, il rap ha avuto sempre questa “Spada di Damocle” sulla testa per cui doveva per forza comunicare qualcosa o salvare il mondo, oggi pare vada per la maggiore quella forma di rap che è enterteinment, ma quella è la punta dell’iceberg, sotto c’è un mondo di artisti rap che danno alternative valide. Spesso purtroppo i generi che diventano trend oscurano un po’ quello che è la base. Per quanto riguarda il mio disco devo dire che con i primi tre pezzi, praticamente alle porte dell’uscita del disco, il successo che ho ottenuto e i complimenti che mi sono arrivati anche dai giovanissimi sono stati una sorpresa, mi hanno detto che comunico ed è quello che voglio fare, comunicare emozioni di ogni genere. Come dico sempre, usare questo mezzo per non dire niente è come sparare nell’acqua.

 

D: Sei diventato padre, da due anni ormai…come ti senti? Sempre il rapper ribelle o hai una consapevolezza diversa?

Nessuno mi aveva spiegato come fare il padre, ma è un ruolo in cui mi trovo bene perchè mi piace questa idea della mia eredità e di vedere lui come un prolungamento della mia vita. Nei primi due anni, che sono finiti a maggio, ho fatto il papà a 360 gradi, andando anche a disintossicarmi un po’ dalle scene diciamo e mi sono preso tempo per fare l’album. Per quando riguarda il giudicarmi come padre sarebbe pretenzioso, dovremmo chiedere a lui fra qualche anno. Però credo di aver fatto tesoro di tutto e aver fatto un figlio in un’età ottima perchè non ero né troppo vecchio né troppo giovane.

D: E dal punto di vista artistico, tuo figlio ti ha cambiato?

Mi ha fatto maturare molto e il disco è specchio delle mie esperienze e anche di questo. Ho abbandonato la vita del rapper fatta di pizzi, merletti e luci della ribalta e mi sono concentrato su cose più umane e ho visto come spesso il resto è fuffa ricoperta di glassa. Bisogna tornare alle cose importanti della vita, alle cose valevoli e mio figlio mi ha fatto apprezzare di più tutto questo e ciò che sto vivendo perchè spesso quando sei immerso nel calderone non ti accorgi di tutto quello che succede.