Le notti di Rock in The Casbah erano piene di petali danzanti che hanno creato una famiglia

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Rock In The Casbah è terminato. Anche per quest’anno i quattro giorni di passione, musica ed emozioni che animano il quartiere “La Pigna” di Sanremo, sono arrivati alla fine e solo le parole di Simone Parisi, uno degli organizzatori, possono rendere il quadro conclusivo perfetto.

Le mie parole da sempre chiudono la rassegna, la lasciano ai posteri. Mai come quest’anno fatico a procedere, a trovare il bandolo di una matassa semplicissima ma resa intricata da conati fuori luogo, piccole invidie o semplicemente falsi scoop tali da farsi grandi nel mondo dei piccoli. Ho solo puntato il dito verso la luna per provare a nasconderla, non ci sono riuscito del tutto, ed ho capito: finché la Luna resterà più grande del mio dito sarò e saremo quel che ci ha portati fino a qui.

Non saremo mai come voi, siamo diversi dicono i TreAllegriRagazziMorti, per cui: “Padrona mia é la Luna e altro io non ho” e la luna é più grande di altre cose anche se il nostro dito pare coprirla nell’indicarla appena illumina la notte come se fosse Regina assoluta.

Ed una notte fatta di migliaia di petali colorati con le maschere allegre di un ragazzo morto addosso nutre in maniera luculliana. Petali che paiono caduti dal cielo per posarsi sulle pietre più vecchie e bistrattate della città.

 

Petali danzanti come fossero diretti dal maestro di ballo più intransigente ed anticonvenzionale che si possa: il vento. Vento che portava, insieme al refrigerio, il profumo di Remo al quale si é aggiunto quello di Paolo. Ed i mille petali si muovevano insieme, nel gesto esatto della felicità. Nel gesto di chi si cancella per quel mo

 

mento che é solo musica. Tutti incastrati, vicinissimi gli uni agli altri, leggeri come una bava di vento. Un assembramento pacifico di proporzioni enormi, quanto gli spazi parrebbero non riuscire a contenere, tutti con gli occhi pieni del carnevale che stavano vivendo. A me sono mancati tanto gli occhi neri e dolci di Iba, ma tutti gli altri c’erano. Una famiglia che cresce, aggiunge anime ed unisce, si muove insieme nelle folate di vento, diventa indispensabile.

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“Voglio girare il mondo, che il mondo in testa ho” ed il mondo pare piccolo di fronte alle ragazze che ballano le note di Rock in The Casbah, che di colpo diventa un inno alla gioventù, di colpo si fa speranza.
Così è cominciato tutto, con una coreografia mantenuta segreta come ogni “flash mob”. Ci penso spesso: la liberazione della danza potrebbe curare qualche malanno del mondo, forse è nata proprio per questo. La mia passione per il rugby non può prescindere da attimi come questo, come il Maori invita in battaglia il suo avversario con i movimenti quasi assurdi della Ka Mate e con essa si identifica nella sua razza, si collega alla sua anima e trasmette passione e vigore così noi…Come il popolo islandese quasi attonito di felicità per i successi calcistici della propria nazionale, così noi. Ed i riti sono fatti per durare e marchiare col fuoco del tempo. Ed in un mondo social vanno resi pubblici.

Simone Sarchi lo avete visto transitare in mezzo a voi con un bastone alzato verso il cielo con su una macchina fotografica ed una luce al neon, era lì per poter rendere pubblico, per non lasciare che la rotella del tempo, velocizzando il suo incedere, non vada a sovrapporre nulla. Per mantenere la memoria. Anche la strada tracciata dal mare è stata filmata da lui, insieme al sorriso di Alessandro Nosenzo quel procedere dal Sud verso un altro punto cardinale, dal mare verso la collina, quasi non ci fosse confine, quasi che tutto ci possa appartenere perché tutto maledettamente e meravigliosamente simile ovunque. Lui viene da Pescara, e si presenta con il libro “I Sentieri dei nidi di Ragno” di Italo Calvino, si presenta due giorni in anticipo come coloro che hanno bisogno di vivere e sentirsi parte completamente, come chi si sente a casa.

Mi accorgo che i concetti si ripetono di continuo come una qualsiasi coazione, Casa e Famiglia. La casa è dove vai a rifugiarti, la famiglia è dove ti senti protetto, dove sai di poter trovare abbracci e conforto. Ed io ho Larry, Serena, lo Slavo e Manuela e forse li avrò per sempre come piccoli colori da abbinare col rosso del cuore, e quassù Angelo, Enzo, Valerio, Jenky, Federico, Antonio, Pietro, Selena, Simone, Danilo, Pol, Lorenza, Teo, Claudio, tutti parte, tutti. E nessuno può rimanere indietro. É un palco che non esiste in un posto che non c’è, senza la passione resterebbe il solito bel posto sperduto e pieno di cartacce e vegetazione non potata. Ma per quello c’è la Dede, la cugina maggiore alla quale cerco di rassomigliare, arrivata qui qualche anno fa. Lei ha preso nella sua cura i giardini e li accarezza ogni volta che può.

IMG_8525 (Copy)E poi arriva Luca, Elso é il suo nuovo progetto, nonché nome del suo nonno che ora parla con Remo e Paolo ed Elvis, ci dice con maturità le stesse cose appena ribadite: abbraccia ed accarezza le persone finché sono con te, quando sono in attività, non lasciarle indietro, poi ti mancheranno fino ad associare le parole “Merda ed Amore” come nella sua maglietta, e Luca mi invade anche mentre controllo le transenne durante un Pogo sulla musica dei Tre Allegri Ragazzi Morti, pretende un abbraccio nel quale sento l’affetto misto alla gratitudine. Perché per chiunque questo è un posto così, un luogo che pretende, che fa tremare appena le gambe, col pubblico quasi addosso e la cornice che la circonda.
I TheRivati da Napoli con la musicalità del Vesuvio nelle viscere l’hanno inteso così come i Nuclears da Crema, le Carogne, i Waste Pipes torinesi ed amici di palco da anni, così come il Progetto Delta, gli Skeletoon, i Laste Days Of Summer, gli Artichokes e l’amico Christian G. Con la sua chitarra da sola, ì Primula Nera i giovanissimi Sesor…insomma tutti.

E ripunto il dito verso la luna, ma questa volta provo ad immaginare grandezze che la possano contenere, non trovo nulla, cerco ancora per due giorni…vince ancora la luna, fino all’8 ed il Radiogiornale. 60 anni fa 262 minatori in gran parte italiani perdevano la loro vita che era quasi diventata un numero ed una faccia sporca di carbone, frutti dimenticati di un accordo governativo che prevedeva uomini per merce, lavoravano a Marcinelle, nel Belgio, da emigranti. 8/8/1956.

Forse di fronte a questo anche la Luna arrossì, o forse no, perché sempre troppo grande e regina delle stelle. Ma di fronte a questo tutto scema. Tensioni. Problemi. Rimane la famiglia. E Rock in the Casbah.

La tatuata bella al lavoro non ci va, Ha messo la camicia ma a lavoro non ci va, Quello che vuole è altro, altro da questa vita, a consumar le dita per gli altri non ci sta. Padrone mostra il muso: vediamo come sei, Padrone mostra il muso, che lingua parlerai? Da dove arriverai a cercar profitto? Sta certo che il mio tempo ‘sta volta non l’avrai E se lavori duro un motivo ci sarà, e se lavori duro un motivo ci sarà, chi è schiavo del lavoro chi è schiavo del lavoro o solo del pensiero che senza non si può, ti dico che non vengo, a lavorar non vengo, starò con la mia bella sul prato a far l’amor. Voglio girare il mondo che il mondo in testa ho, voglio girare il mondo che il mondo in testa ho e non avrò paura, e non avrò paura, padrona mia è la luna ed altro io non ho.

(La tatuata Bella. TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI)